Mutande pazze: epilogo all’italiana.

Solito finale all’italiana per una vicenda che aveva tenuto impegnata l’attenzione degli italiani durante la fine del 2015, verificatasi a Sanremo, la cosidetta inchiesta sui furbetti del cartellino.

Durante tale inchiesta il Comune di fatto fu occupato e bloccato per i sequestri di documentazione. Fu eclatante anche per il numero di dipendenti coinvolti e la diffusione di abitudini fra il personale senza che vi fosse un controllo effettivo.

Ad oggi 16 imputati hanno deciso di patteggiare pene comprese fra 8 mesi e 1 anno e 7 mesi mentre altri 16 sono stati rinviati a giudizio.

Dieci imputati, compreso il famoso “vigile in mutande”, sono invece stati assolti perchè “il fatto non sussiste”.

Si dovranno leggere le motivazioni della sentenza per capire ma rimane comunque un fatto: se si timbra in mutande è chiaro ed evidente che si può prendere servizio in quel modo, quindi si perderà comunque del tempo per terminare la vestizione, tempo sottratto quindi al servizio.

Va bene, sarà roba di pochi minuti ma il principio che non riesce a passare in Italia è proprio quello della “legalità”. Cosa costava al vigile in questione di vestirsi “PRIMA” di timbrare e prendere quindi servizio come fanno tutti i santi giorni tutti i lavoratori di questo mondo?

Perchè c’è sempre il “furbetto” che verrà pure “perdonato” dalla materna e premurosa giustizia italiana?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *